Violenza, molestie e abusi

Libera puoi! La violenza non è un destino.

Essere donna significa incarnare molti aspetti.

Essere donne in carriera vuol dire dimenarsi tra gli impegni personali e professionali sentendo la pressione di dover fare tutto e bene.

Essere donne potenti vuol dire gestire il frequente senso di inferiorità di alcuni partner e il rapporto con colleghi, non sempre basati sulla cooperazione.

Essere donne di casa vuol dire equilibrare il senso di sacrificio che media tra i sogni di una vita e quello a cui si è voluto o dovuto rinunciare.

Essere donne belle e affascinanti vuol dire doversi costruire dei confini che l’altro non può e non deve travalicare.

Ci sono delle scarpette rosse sui gradini del Teatro Regio di Parma, così Parma ricorda le sue vittime che non ci sono più.

Il 25 novembre si celebra la Giornata contro la violenza sulle donne. Questa importantissima ricorrenza è stata istituita dall’Onu nel 1999. La data è stata scelta per ricordare il sacrificio di Patria, Minerva e Maria Teresa, tre sorelle che, a causa della loro militanza politica contro il regime del dittatore dominicano Rafael Leonida Trujillo, furono brutalmente trucidate nel 1960. Le sorelle Mirabal, fervide attiviste politiche della Repubblica Dominicana e sostenitrici del “Movimento 14 giugno”, mentre stavano andando in auto a far visita ai loro mariti (anch’essi incarcerati per la loro militanza politica), furono fermate dalla polizia, condotte in una piantagione di canna da zucchero e, dopo indicibili torture, gettate in un precipizio per simulare un incidente. L’opinione pubblica comprese subito che si trattò di un efferato assassinio. L’eco di tale tragedia si diffuse, però, solo dopo la morte del dittatore. E il sacrificio delle donne fu noto al mondo intero solo nel 1999, quando questa storia intrisa di violenza e di disuguaglianza di genere giunse sul tavolo dell’assemblea dell’Onu.

Anche l’Italia, dal 2005, celebra il ricordo di tutte le donne vittime di violenza. Perché ancora oggi, a distanza di sessant’anni dall’assassinio delle sorelle Mirabal, a casa, a scuola, a lavoro, per strada, su internet, una donna su tre subisce violenza fisica e psicologica.

Nonostante questo tema sia sempre più discusso e oggetto della sensibilità pubblica, molto spesso le testimonianze delle donne non vengono credute e l’entità della gravità della situazione è sottovalutata quando sono considerate responsabili in parte dell’accaduto, poiché risultate provocanti e potenzialmente disponibili agli occhi dell’aggressore, oppure perché non hanno rifiutato esplicitamente le proposte sessuali ricevute, in quanto sotto l’effetto dell’alcool o di altre sostanza. Questo provoca il senso di colpa e la paura nelle che donne che possono portare a mantenere nascosto quello che è successo, cercando di cancellare l’accaduto, che però continua a persistere nelle vite delle vittime, provocando problematiche individuali oltre che una maggior vulnerabilità per le malattie fisiche, con ripercussioni anche sulle relazioni interpersonali e sul funzionamento in ambito lavorativo.

Ogni forma di violenza ha un notevole impatto emotivo e provoca un forte stress psicologico, causando una grave alterazione all’equilibrio e all’identità oltre che una profonda svalutazione al senso di autostima.

Lo stato disfunzionale si può leggere nella dipendenza affettiva che costringe ad instaurare storie per scopi sessuali, rinforzando l’idea di non essere degna d’amore; oppure nella necessità di trovare continue conferme all’immagine di sé, ricercando ammirazione e rinunciando agli aspetti di calore e di affetto interpersonale; oppure ancora tentare di superare il dolore derivante da un senso di sé frammentato e caotico, attraverso comportamenti disregolati.

Le vittime di violenza si portano dietro una sensazione di sporco, rabbia, isolamento, sentimenti di umiliazione,depressione,ansia, sintomi psicosomatici, disturbo post-traumatico da stress fino al tentato suicidio.

Conseguenze che durano nel tempo e che sono resistenti al tempo.

Spesso le vittime sperimentano una dinamica di violenza all’interno di uno scenario già di per se traumatico.

Questo meccanismo prende il nome di victim blaming, colpevolizzazione della vittima, e si tratta di un fenomeno molto diffuso in ambito sociale che si verifica quando chi ha subito un danno viene ritenuto in parte o completamente responsabile del trauma che ha vissuto spostando l’attenzione e la colpa da chi commette il reato alla vittima.

Essendo una pratica socialmente diffusa, il victim blaming, è presente anche a livello mediatico e giornalistico riportando notizie di molestie o violenze in modo inappropriato creando terreno fertile a questi fenomeni. Accade per esempio che vengano citati alcuni dettagli della relazione o della situazione che dovrebbero essere ininfluenti, come se descrivere gli abiti indossati o descrivere l’aggressore come una persona che solitamente non si comporta in questo modo potesse in qualche modo giustificare l’atto compiuto. Sono piuttosto strategie attuate con lo scopo di tramutare, consapevolmente o inconsapevolmente, la responsabilità di chi ha compiuto la violenza.

Il victim Blaming non si verifica solo nei casi di violenza sessuale ma si estende alle molestie, alla violenza domestica e ai femminicidi. Spesso in queste situazioni si ricerca tra i comportamenti della vittima una qualche giustificazione che avrebbe potuto scatenare l’ira dell’aggressore, implicando una responsabilità congiunta. Basti pensare a quante volte si accosta alla violenza domestica la colpa alla donna di aver sopportato maltrattamenti fisici e psicologici così a lungo; senza riflettere che queste affermazioni inducono socialmente ad autoconvincersi di avere una responsabilità di quanto accaduto.

Questo rende ulteriormente difficile alle vittime denunciare le molestie per paura di non essere prese sul serio, in quanto sembra che la società giustifichi tali atteggiamenti. L’uscita dalla spirale della violenza è un percorso a ostacoli, anche dopo che la violenza è stata – molto spesso con fatica – riconosciuta e denunciata.

Uscire dal silenzio, parlare della violenza può favorire un percorso verso l’autonomia. Si tratta di un percorso psicologico impegnativo ma possibile e necessario. Nel 2020 le telefonate al numero antiviolenza 1522 sono cresciute del 73%, ma il contrasto alla violenza non si è mai fermato. I centri antiviolenza, le case rifugio, i distretti sanitari e l’ordine degli psicologi dell’Emilia-Romagna ci sono e continuano a funzionare regolarmente, accogliendo e ospitando le donne, anche in emergenza, nel rispetto di tutte le norme igienico-sanitarie.

Continuiamo ad assistere a femminicidi, anche compiuti da adolescenti, a stupri individuali e di gruppo, ad atti violenti contro le donne connotati come violenza fisica, psicologica, economica e sessuale, ad azioni di stalking e a discriminazioni sul lavoro. Tali fenomeni, che rappresentano una emergenza socio-sanitaria di vaste proporzioni, richiedono azioni collettive finalizzate al contrasto del fenomeno in tutte le sue dimensioni.

Il contrasto alla violenza di genere va attuato soprattutto attraverso percorsi di educazione socio-affettiva a partire dalle scuole dell’infanzia volti alla promozione di una cultura basata sulla parità dei diritti, sul rispetto e sulla decostruzione degli stereotipi di genere.

Definirsi, schierarsi contro la violenza è il punto di partenza.


Bibliografia

  • World Health Organization (2014). Violence against women: intimate partner and sexual violence against women: intimate partner and sexual violence have serious short-and long-term physical, mental and sexual and reproductive health problems for survivors: fact sheet. World Health Organization.
  • Judith Lewis Herman, (2005) Guarire dal trauma. Affrontare le conseguenze della violenza, dall’abuso domestico al terrorismo, magi editore.
  • Johnson, M. P., & Leone, J. M. (2005). The differential effects of intimate terrorism and situational couple violence: Findings from the National Violence Against Women Survey. Journal of family issues,
  • Lonsway, K. A., Cortina, L. M., & Magley, V. J. (2008). Sexual harassment mythology: Definition, conceptualization, and measurement.

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